Alcuni casi di cronaca di alimenti richiamati per contaminazione (reale o sospetta) da listeria (wϋrstel a base di carni avicole, tramezzini al salmone, pancake al cioccolato, prosciutto cotto, gorgonzola e porchetta) hanno riportato in luce l’importanza della sicurezza alimentare del prodotto, contro virus, batteri, tossine e non solo. Che cosa può fare un punto di vendita per tutelarsi?
In quali alimenti si può trovare la listeria
L’Italia è certamente un Paese di eccellenza per la sicurezza degli alimenti. Ma anche i pochi casi di allerta che si verificano, con conseguente richiamo prodotto, sono un pesante danno di immagine sia per il distributore sia per il brand, oltre a colpire il consumatore con effetti più o meno gravi in base allo stato di salute personale. Dando una scorsa al portale del Rasff, risulterebbero 41 i casi di allerta di prodotti distribuiti in Italia contaminati da listeria dal 2020 a oggi. Seppur rara, la listeriosi è una malattia grave, che comporta elevati tassi di ricoveri ospedalieri e decessi. Nel 2017 sono stati segnalati nell’Ue circa 2.400 casi di infezione da listeria, ricorda l’Efsa. E nel 2020 la listeriosi è stata la quinta zoonosi maggiormente riferita (con 1.876 casi, 97% dei casi sono stati ospedalizzati con 167 decessi), e ha interessato principalmente soggetti di età superiore ai 64 anni.
Diversi retailer si affidano oggi a laboratori per svolgere controlli campioni e valutare non solo lo standard qualitativo dei prodotti dei fornitori, ma anche casi di adulterazioni, sofisticazioni, alterazioni e contraffazioni. Tra i protagonisti dell’attività di testing, ci sono i laboratori pH, a Barberino Tavarnelle (Fi): dei circa 150 mila test annui svolti per tutta la filiera il 30% sono commissionati dalla distribuzione moderna. Quest’anno compiono i 40 anni di attività e spetta a loro la scoperta nei primi anni 80 della grave frode perpetrata mediante adulterazione di vino da tavola con il metanolo. Nel 2013 sono stati acquisti da TÜV Italia, che fa parte del gruppo TÜV SÜD. “La listeria (L. monocytogenes) è un batterio molto resistente a varie condizioni ambientali, incluse quelle che si hanno nella produzione e nella lavorazione degli alimenti -spiega Monica Filippini, Life Science manager del laboratorio pH -TÜV Italia-. Tende a proliferare soprattutto nei cibi freschi. Per queste sue caratteristiche rappresenta un pericolo per i prodotti pronti al consumo e con una lunga shelf-life mantenuti a temperature di refrigerazione. Quelli più a rischio sono pesce affumicato (per esempio il salmone), prodotti a base di carne (paté di carne, hot dog, carni fredde tipiche delle gastronomie), formaggi a pasta molle, erborinati, poco stagionati, vegetali preconfezionati e latte non pastorizzato”.
I casi di listeria in Italia e in Europa
“Nell’Unione Europea, negli ultimi 10 anni i casi di listeriosi sono aumentati in particolare nei Paesi che consumano più alimenti a rischio: Scandinavia per il pesce affumicato, la Francia e il Lussemburgo per i formaggi molli o erborinati. Negli ultimi 6 anni la situazione è stabile ma anche in Italia continuano a essere segnalati casi di listeriosi e correlazione con diversi alimenti, questo anche perché abbiamo sistemi di controllo molto efficienti, capaci di identificare gli alimenti coinvolti -rileva Antonello Paparella, docente di Microbiologia alimentare all’Università di Teramo-. Nei prodotti pronti al consumo, come i formaggi e gli affettati, Listeria monocytogenes non deve superare le 100 unità formanti colonia per grammo di alimento. Questo limite restrittivo non si applica se il produttore scrive sull’etichetta ‘da consumare previa cottura’, come accade nei cubetti di pancetta sottovuoto o nel wϋrstel. Nel salmone crudo, l’alimento di solito si altera prima che la listeria moltiplichi, mentre in quello affumicato questo batterio ha il tempo di sviluppare, soprattutto se la temperatura di conservazione supera i 4 gradi. Negli ultimi anni la listeria sta interessando sempre di più gli alimenti di origine vegetale, per esempio il melone in Usa; in questo frutto aderisce alla buccia e moltiplica sulla polpa, grazie al pH neutro, e per questo le autorità statunitensi hanno fornito indicazioni sulla conservazione e lavaggio del frutto”.
Come possono difendersi i retailer?
Ma cosa possono fare i negozi per scongiurare il rischio listeria? “I retailer possono fare tante cose e anche semplici -nota Paparella-. Girando in alcuni punti di vendita ho trovato alimenti a rischio listeria, come affettati di pesce, salumeria o formaggi molli, che erano in isole aperte e non in banchi chiusi a sportello. Questa è una pessima soluzione, soprattutto per il pesce, pesto, salse non pastorizzate refrigerate, che richiedono costanza di temperatura sotto i 4 gradi. Nei banchi a libero servizio aperti andrebbero conservati solo i prodotti che possono tollerare un ragionevole livello di abuso termico”.
Altro punto importante, spesso sottovalutato, è il rispetto della temperatura del fresco: “Sia nel negozio sia a casa occorre tenere la temperatura più bassa possibile. In diversi di questi banchi mi è capitato di vedere che il termometro registrava temperature superiori a 4 gradi, fino a oltre 10 gradi. Il caporeparto non sempre fa attenzione. Nel surgelato il problema è minore: il batterio non può moltiplicare ma sopravvive. E la maggior parte dei prodotti viene cotta, a eccezione dei surgelati di frutta e di mais che infatti hanno causato focolai di malattia alimentare”. Capita anche che le etichette siano carenti di informazioni sul consumo del prodotto; l’attenzione va posta poi ai banchi della gastronomia. “Vanno evitate le promiscuità di contenitori e utensili. Il banconista è formato a gestire queste situazioni, ma può succedere che in momento di affollamento ci sia un allentamento delle accortezze igieniche”.
Coop Italia: così evitiamo il rischio listeria
Un esempio di come viene gestito il problema arriva da Coop Italia. “Stiamo seguendo da anni con molta attenzione il problema listeria focalizzandoci sui prodotti che possono essere soggetti a presenza o crescita. È per questo che il processo viene verificato attentamente dai nostri specialisti di prodotto affinché, quando è possibile, siano presenti processi tecnologici che ci permettano di eliminare la presenza di listeria, come la doppia pastorizzazione (per esempio wϋrstel, alcuni piatti pronti…) alta pressione Hpp (es. semilavorato salmone per tramezzini e nuova linea salse), confezionamento a caldo (es. sughi).
Nei casi in cui non sia possibile attivare questi accorgimenti tecnologici si usano una serie di sistemi complementari tra loro, strutturali e di processo, come camere bianche e parametri controllati e piano di analisi anche prima della commercializzazione. La prassi abituale di Coop è chiedere sempre validazione tramite challenge test come previsto dal regolamento 2073/2005 e successive modifiche. Infine eseguiamo verifiche analitiche sui prodotti critici (salmone affumicato, prosciutto cotto…) anche a fine vita del prodotto per verifica del parametri di sicurezza durante tutto il periodo di validità e sotto stress termico”.
Le certificazioni e i controlli costanti di Esselunga
"Tutti i nostri stabilimenti di produzione e i nostri Centri di lavorazione -fanno sapere da Esselunga- sono certificati secondo lo standard internazionale FSSC 22000 che assicura i più elevati standard di sicurezza alimentare. All’interno dei nostri stabilimenti di produzione, sono infatti implementate procedure e istruzioni atte ad affrontare e gestire i rischi relativi alla sicurezza igienico-sanitaria dei prodotti, compresa la Listeria, cui segue un controllo costante sui processi produttivi e gli approvvigionamenti. Le attività svolte nei nostri stabilimenti sono verificate da organismi indipendenti terzi e dalle autorità sanitarie ufficiali. L’attenzione alla sicurezza alimentare e alla Listeria è alta anche nelle produzioni eseguite nei reparti dei negozi, controllate secondo un piano analitico che varia in base alla criticità dei prodotti.
La presenza di tre laboratori di analisi, situati presso i siti di Limito di Pioltello, Biandrate e Parma, permette di monitorare costantemente la qualità dei prodotti, valutati in considerazione delle loro caratteristiche chimiche, shelf life e destinazione d’uso del prodotto, e degli ambienti, mediante analisi che valutano le condizioni igieniche delle strutture e delle attrezzature. In fase di sviluppo dei nuovi prodotti, per quelli ritenuti più sensibili al rischio Listeria, si eseguono challenge test (studio della crescita del batterio) presso laboratori accreditati al fine di validarne la shelf life. Analogamente, Esselunga chiede ai fornitori di prodotti a marchio, attraverso la condivisione di Specifiche Tecniche, di essere certificati secondo standard di sicurezza alimentare internazionali (Gfsi) e di definire un piano di monitoraggio analitico in base alla criticità dei prodotti. A sua volta, su questi prodotti, Esselunga svolge, tramite i propri laboratori o attraverso laboratori esterni accreditati, analisi a garanzia della sicurezza dei prodotti commercializzati a proprio marchio. E ancora, dopo avere svolto le attività sopra descritte, gli esperti di Esselunga eseguono visite ispettive periodiche in campagna, negli allevamenti, presso i magazzini e gli stabilimenti, dei fornitori, e si accertano che le regole definite nelle Specifiche Tecniche vengano rispettate".
I consigli per il consumatore
Questo batterio, gram positivo, è in grado di crescere e mantenersi attivo anche a basse temperature, comprese quelle di refrigerazione. La cottura dell’alimento a 72°C per almeno 15 secondi consente invece di inattivarlo. Il consumatore che acquista un prodotto deve fare attenzione e applicare le generali norme di igiene e previste per tutte le altre tossinfezioni alimentari. “È consigliabile lavare accuratamente gli alimenti crudi, come frutta e verdura, sotto l’acqua corrente prima di consumarli e pulirne la superficie, come meloni e cetrioli, con una spazzola pulita (per portare via il biofilm della listeria, ndr); mantenere una temperatura del frigo minore di 5°C e rispettare la data di scadenza. Gli avanzi di cibo cotto vanno poi conservati nel frigorifero in contenitori provvisti di coperchi e poco profondi, così da farli raffreddare più velocemente, e consumati in breve tempo”.
Secondo quanto consiglia l’Istituto Superiore di Sanità le donne in gravidanza e le persone immunodepresse dovrebbero evitare il consumo di prodotti lattiero-caseari freschi. In particolare, formaggi a pasta molle, a breve stagionatura ed erborinati; salumi a breve stagionatura; pesce fresco affumicato pronto per il consumo; preparazioni gastronomiche da consumarsi senza trattamento termico paté di carne freschi.