Lo store Rfid non è più un miraggio

L’apertura di la Esse di Esselunga ha riportato in primo piano la tecnologia e le sue potenzialità, oggi sfruttate al meglio solo in ambito logistico e da alcune insegne fashion e sportswear (da Gdoweek n. 1/2020)

L’apertura di la Esse di Esselunga ha riportato in primo piano la tecnologia e le sue potenzialità, oggi sfruttate al meglio solo in ambito logistico e da alcune insegne fashion e sportswear (da Gdoweek n. 1/2020)

Se ne parla da anni decantandone le potenzialità, ma gli store che abbiano un ecosistema basato su Rfid, Radio Frequency Identification, non hanno mai preso piede se si eccettua, in tempi recenti, alcuni fast fashion e sportswear. Sono infatti le insegne con prodotti a marchio proprio, i più attivi in questo ambito. Ma se volgiamo lo sguardo al mondo food e grocery, lo scenario cambia e solo di recente, con il flagship store la Esse di Esselunga si è visto un esempio concreto sul campo, che va ad affiancarsi agli store Amazon Go, che il colosso dell’eCommerce sta sperimentando nel mondo fisico.

L’Rfid utilizza la radiofrequenza per identificare e tracciare automaticamente i tag collegati agli oggetti, solitamente posti all’interno di un’etichetta. “La storia ha insegnato che la tecnologia Rfid -ci ha detto Linda Vezzani, Gs1 visibility and Rfid standards specialist di Gs1 Italy- non è la soluzione perfetta per tutti i business. Essa va valutata con attenzione, misurando contestualmente la fattibilità tecnica e il ritorno dell’investimento. Questo va calcolato sui singoli processi che vengono impattati dalla tecnologia Rfid, considerando i costi di investimento e correnti (solitamente il costo del consumabile è la voce che incide maggiormente) e i benefici quantitativi e qualitativi”.

Alla ricerca di uno standard riconosciuto, la soluzione di GS1

La diffusione di una tecnologia dipende dai costi ma anche dall’adozione di uno standard comune riconosciuto. Gs1 ne ha sviluppato uno basato sulla radiofrequenza si chiama Epc/Rfid. Si tratta di un codice univoco, riconosciuto a livello mondiale, che serve per denominare in modo unico il singolo oggetto (ma anche location, asset riutilizzabile, e così via). Quello impiegato per i prodotti (Sgtin, Serialized Global Trade Item Number) è la “carta di identità” dell’articolo, non contiene solo la referenza (la stessa gestita dal codice a barre standard Gs1, Gtin-13) e il numero seriale ma anche altre informazioni (per esempio, l’oggetto è un’unità di vendita o un imballo).

Primo passo lo store Rfid pilota

Per implementare l’Rfid in uno store, il primo step è senza dubbio il commitment aziendale. “È necessario identificare un responsabile del progetto -sottolinea Alberto Corradini, business unit director Italia Checkpoint Systems- che collabori sia con il fornitore sia con le diverse divisioni aziendali con autonomia e flessibilità. Dal punto di vista operativo, si deve passare da un pilota in uno o più punti di vendita in modo tale che il retailer possa da un lato misurare i benefici dell’introduzione della tecnologia ma contemporaneamente possa “misurarsi” con la tecnologia stessa per capirne i pregi e i difetti. Un progetto Rfid non è mai una soluzione standard ma deve essere un abito su misura che solo professionisti possono confezionare nella maniera migliore, dopo avere preso tutte le misure del cliente.

L’Rfid è una soluzione che può essere sfruttata anche nella gestione degli stock dei freschi, consentendo un maggiore controllo delle scorte e delle scadenze dei prodotti, ottimizzando lo stock dei prodotti esposti, riducendo in modo sostanziale le percentuali di prodotti che sono ritirati perché scaduti”. È il caso di la Esse, che rimane però un unicum nel panorama italiano.

Dal canto suo Conad sta sperimentando una soluzione tecnologica non Rfid per velocizzare il check out, di cui abbiamo parlato qui. Abbiamo chiesto a Maurizio Barsacchi direttore innovazione e sistemi di Conad Nord Ovest, un commento in merito all’adozione dell’Rfid, “Le ultime apparizioni sulla scena -ha dichiarato-, hanno portato alla ribalta questo argomento ma l’adottabilità su larga scala per ora resta difficile perché per essere efficace è necessario che tutto il negozio sia adattato per poter funzionare con questo sistema, con costi che vanno oltre le attrezzature perché incidono sulla parte operativa quotidiana. Tutto ciò che non arriva già etichettato correttamente, deve essere gestito con un effetto sui costi di gestione dei prodotti a magazzino o nel pdv”.

La soluzione Rfid tra bilance e casse nello store La Esse

“La bilancia che Esselunga ha inserito nel punto di vendita la Esse a Milano -ha dichiarato Federico Tanesini, presidente della filiale italiana di Digi- è nata da una loro richiesta specifica e per noi è stata una sfida, visto che non esiste un prodotto standard con queste caratteristiche. Anche il nostro presidente Yamamoto è venuto personalmente dal Giappone per seguire il progetto, tale era l’importanza.

In pochissimo tempo abbiamo generato un prototipo con un’antenna e la capacità di scrivere e leggere i tag Rfid. In due mesi abbiamo ottimizzarne le dimensioni per permettere l’integrazione nei reparti. Al momento sono esemplari unici”.

 

 

Dalla logistica ai pdv, per migliorare la customer experience

“Il primo progetto Rfid l’ho seguito 25 anni fa -ha detto Giorgio de Nardi, founder e ceo di Aton- e da allora in azienda abbiamo una business unit dedicata. Il desiderio di arrivare all’utilizzo ‘item level’ c’è sempre stato, per ora purtroppo resta per molti un sogno, soprattutto quando ci sono decine di migliaia di prodotti da gestire e differenti fornitori, non essendoci ancora uno standard imposto. Tra i fashion retailer ci sono già molte esperienze, in ambito gdo l’Rfid potrebbe trovare applicazione nei discount dove la maggior parte dei prodotti è a marchio proprio e c’è un maggior controllo sulla gestione della filiera. Si può quindi entrare dalla porta della logistica, ottimizzando i processi, tracciando le spedizioni, rendendo più veloce l’inventario, per arrivare agli store, dove possibile. Qui l’Rfid può migliorare la customer experience creando il momento ‘wow’ con il 'carrello intelligente' o facendo il checkout automatico senza dover leggere ogni singolo barcode e può essere impiegata in ambito marketing, per esempio per raccogliere i dati sui capi provati in camerino o per fornire consigli al cliente su ulteriori acquisti, guidandolo all’interno del negozio. L’Rfid, utilizzata in combinazione con la tecnologia Nfc (Near field communication, comunicazione di prossimità), consente inoltre di creare lo storytelling del prodotto direttamente sugli smartphone o sui display nel pdv”.

I costi sono ora sostenibili

“Cercare di spiegare ai clienti i vantaggi dell’Rfid è quasi pleonastico nel 2020 -dice Pierluigi Terzioli, product manager Negoziando di Sme.Up-, certo è che la maggior accuratezza dell’inventario ha un focus ancora più importante con l’avvento dell’omnicanalità, per esempio per chi adotta il click and collect, o lo smartmirror nei negozi di abbigliamento o ancora la prevenzione dello spreco alimentare con il food detection. Se una volta il costo del tag aveva un peso rilevante, ora non è più così, le etichette adesive con tag passivi possono avere un costo inferiore ai 10 centesimi. Il vero scoglio da superare è dunque l’onere della rietichettatura con personale dedicato. Rfid si può anche utilizzare per la loss prevention, non tanto nei clienti quanto dei dipendenti, facendo inventari più frequenti e profondi. Per ciò che riguarda i nostri clienti, che hanno mediamente più di 50 pdv, l’adozione di Rfid è stata decisamente inferiore alle attese, forse anche perché la capacità di investimento nella gdo è stata dedicata ad adeguamenti di carattere normativo”.

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