Il biologico cresce e continuerà a crescere, vuoi che sia il marchio più chiaro agli occhi del consumatore, vuoi che la scelta si sia ampliata e i prezzi si siano ridotti, sicuramente il bio ormai entra dalla porta principale.
Detto questo, spazio ce n’è ancora tanto e i consumatori all’etichetta: bio chiedono di più.
Intanto chiedono eticità, in particolare sul trattamento degli animali coinvolti nella filiera. Il trattamento del pollame in prima linea, però le risposte non mancano: è di qualche mese fa la prima tornata (in Germania) delle uova no-kill che, grazie a un’analisi, in grado di determinare se l’uovo darà la vita a un maschio a una femmina previene la carneficina di milioni di polli maschi (inutili ai fini alimentari).
Cresce anche la preferenza per le B-Company, le società cioè che soddisfano rigorosi standard in termini di requisiti sociali e ambientali, di responsabilità e trasparenza. Esempi? Danone Nord America, ma anche il nostro Panino Giusto.
Si fanno largo le “super certificazioni” come la Regenerative Organic Certification del Rodale Institute. Inaugurata nel 2018, con partner come Danone e Patagonia, la certificazione parte dagli standard del bio per ampliarlo anche alla salute del suolo, alla gestione del territorio, al benessere degli animali, all’equità nel trattamento di agricoltori e lavoratori.
Un’altra certificazione che si sta muovendo negli Stati Uniti riguarda la filiera dairy: il Grass-Fed Organic Livestock è possibile solo per produzioni già biologiche e ha l’obiettivo di garantire al consumatore finale una filiera completamente green ed etica. In particolare garantisce che le vacche da latte siano alimentate con una dieta a base di erba, zero grani e che si muovano in ampi pascoli. Una certificazione promossa da due competitor (Organic Valley and Maple Hill), alleatisi nel fare chiarezza.
Chi sta guadagnando terreno nelle certificazioni bio è il petfood, grazie ai Millennials, grandi fan del bio, che non hanno mancato di chiedere lo stesso trattamento per i propri pet.