Insieme a Romeo Scaccabarozzi, Ad di Axiante, parliamo del ruolo del category manager nella grande distribuzione. Un ruolo che si è evoluto nel tempo abbracciando sempre nuove competenze che, accanto a quelle fondamentali e di base sul prodotto, includono la conoscenza del cliente e delle tecnologie indispensabili per avvantaggiarsi della disponibilità di dati provenienti da fonti e canali di vendita diversi.
Come si è evoluto il category manager della gdo?
Nella nostra esperienza, abbiamo notato il passaggio da specialista conoscitore della merceologia a un nuovo ruolo di business manager. In sintesi, se prima il category manager era l'uomo dell'offerta, adesso pur conservando quel ruolo, deve affiancarlo a quello di analista della domanda. Qualcuno in azienda deve pur occuparsi di rispondere ai bisogni del cliente, chi altro potrebbe farlo?
Concretamente, cosa significa diventare anche business manager?
Il category manager è la persona che deve sviluppare il business della categoria riuscendo a trovare il giusto equilibrio tra i risultati nel breve periodo e la continuità nel medio e lungo periodo. È responsabile dei risultati di quella determinata merceologia, ma non limitandosi a trovare un'occasione e raccogliere un successo immediato, deve andare oltre. Per farlo, deve poter far leva su competenze più vaste di economia, di marketing e di sociologia. Dal momento che deve seguire il cliente, queste conoscenze sono fondamentali e deve anche diventare un data manager. Sono queste quattro le nuove competenze che si aggiungono a quelle di prodotto.
Quali sono le caratteristiche imprescindibili per riuscire in questo ruolo?
Prima di tutto la velocità, arrivare prima dei competitor. Il retail è un settore difficile anche se affascinante, proprio perché gli spazi di differenziazione strategica sono pochissimi. Per leve di differenziazione strategica intendo qualcosa che le altre insegne non possano copiare facilmente e velocemente. In questa direzione la mdd è forse una delle più grandi opportunità che hanno i retailer per differenziarsi, ma comporta la necessità di cambiare mestiere, diventare produttori. Se ci si limita a demandare all'industria la produzione di qualcosa che somiglia molto a un prodotto industriale, non si fa la differenza agli occhi dei clienti, per farlo la distribuzione deve fare di più. Oggi la mdd pesa per oltre un terzo dei volumi, questo giustifica al momento il cambio di mestiere, vedremo cosa succederà.
Torniamo alle caratteristiche, oltre alla velocità?
Sviluppare un approccio molto più analitico rispetto al passato che permetta di spaziare anche su aree come i gusti dei clienti, l'attenzione al prezzo, la modalità di consumo.
Le informazioni sui clienti di solito sono territorio del marketing e delle analisi di mercato.
Certo, ma rimane il tema della velocità: se per realizzare un'indagine e implementarne i risultati occorrono mesi, l'obiettivo è perso perché il mercato è già cambiato.
I category seguono mercati tra loro molto diversi, ma ci sono approcci trasversali, che valgono per tutti? Penso alla segmentazione, la profondità d'offerta, l'adattamento al bacino d'utenza...
A mio avviso la linea guida da seguire sempre è quella della coerenza dell'insegna agli occhi del consumatore. Significa però fare una scelta su quale consumatore servire nel punto di vendita, cosa che non sempre è possibile, e infatti si tende a cercare di accontentare tutti. È molto difficile creare fidelizzazione su un segmento ben definito, perché ovviamente significa perdere clienti. Tuttavia una strada alternativa potrebbe esserci, e cito un esempio preso da un mondo diverso che ha fatto spesso scelte in anticipo, l'automotive. Il mercato è molto vasto, per età, reddito, scelte di valore. Le case automobilistiche hanno fatto segmentazione attraverso il brand, proponendo marchi diversi per macchine abbordabili, di lusso e così via. Allora un'ipotesi, probabilmente molto futuristica, potrebbe essere quella di passare dalla differenziazione per formato a quella per insegna, con insegne diverse indirizzate a mercati diversi. Essere multibrand permette di fidelizzare sul lungo periodo, e non solo sul tema del prezzo, che fidelizza ma a brevissimo termine. Tornando alla domanda, la coerenza dell'insegna è la sfida trasversale per il category manager.
Tornando alla velocità, dovrebbe essere importante poter avere un feedback rapido sull'efficacia delle proprie scelte.
Oggi i touchpoint sono molti, sia interni all'azienda che esterna, e i dati sono molti di più di un tempo: significa che serve un'infrastruttura e un metodo che permettono di analizzarli per quello che valgono, di non perderli. La tecnologia qui dà una grossa mano, anche per pianificare promozioni personalizzate. Il classico volantino e lo scaffale in questo non aiutano, perché si rivolgono a tutti, ma la tecnologia oggi rende questo obiettivo possibile combinando eCommerce e home delivery. È il primo passo che le insegne possono già fare verso la costruzione di un rapporto one to one con i clienti.
Quali sono le difficoltà maggiori con le quali si scontra il category in questo momento?
Prima di tutto la difficoltà consiste nell'aggregare i dati, analizzarli e produrre una decisione. Supponiamo che ciò accada: mettere a terra la scelta non è né immediato né a costo zero. Per esempio, le revisioni assortimentali. Oggi si tende a farne più che in passato, da due all'anno siamo passati a 3 o anche 4. Significa prevedere il costo per la gestione dei cambi di scaffale, dello smaltimento scorte, per l'inserimento di nuovi prodotti, tutte operazioni laboriose che a volte forzano a fare meno di quello che si dovrebbe per un banale tema di costi-benefici. Dunque le decisioni del category manager sono efficaci se a valle c'è un sistema d’implementazione rapido ed economicamente efficiente.
La tecnologia viene incontro anche nel calcolo dei costi e benefici.
Le soluzioni di assortment optimization permettono di misurare bene il presente e fare ipotesi sull'andamento di una nuova proposta assortimentale. Ovviamente, si tratta di un'ipotesi ma utile. Il metodo migliore rimane quello di fare, sbagliare, riparare, imparare e rifare. Dunque è importante poter contare su delle misure utili a dimostrare come vanno le cose nel presente, e quali sono i margini di miglioramento. Ecco che quindi la data analysis è forse la competenza che incide di più delle quattro a costruire il profilo del nuovo category manager.
Qual è lo stato dell'arte nelle aziende retail?
C'è ancora un grosso gap tra quello che si potrebbe fare e quello che effettivamente si fa. Non è facile, perché abbiamo visto che si dovrebbero poter riunire, in un gruppo ristretto di persone, competenze di vario genere: sulla categoria di prodotto, economiche, sociologiche, tecnologiche e ovviamente relative ai dati. La difficoltà è trovare in azienda tutte queste anime che lavorano insieme e condividono lo stesso obiettivo e le stesse priorità. Questa è la mission di Axiante come business innovation creator: non conosciamo bene i formaggi, per esempio, ma conosciamo bene le criticità del grocery e come sfruttare al meglio i dati per guidare decisioni e processi, con un approccio molto pragmatico e non totalizzante all'innovazione. Aggiungo che la nuova strategia di formato con negozi di dimensioni sempre più ridotte sta amplificando le difficoltà del category manager perché costringe a scelte drastiche. Qui entra in gioco il vero beneficio della tecnologia, in particolare delle soluzioni di assortment optimization: se non si possono mettere tutti i prodotti in base all’albero decisionale del consumatore, almeno si devono avere i sostituti che il cliente considera accettabili.
Ha parlato di approccio pragmatico, come si porta l'innovazione in un'azienda, senza sconvolgerla?
Il nostro approccio consiste nel fare le cose un passo alla volta. L'innovazione deve appunto entrare in azienda, non venire acquistata come un prodotto esterno. Dunque inizialmente deve integrarsi a quello che già c'è e che ha sempre funzionato, per arrivare successivamente a innovare l'intero processo.
La tecnologia è accessibile a tutti, ma può fare la differenza?
La tecnologia può contribuire a differenziare le insegne perché anche se tutti possono adottarla, ciò che conta è come viene usata, se in un'ottica più strategica o meramente strumentale. Il valore dello strumento sta nel come lo si usa.
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