Effetto online sul retail fisico: cosa cambia

L’online impone al retail tradizionale di investire in un nuovo ecosistema di vendita, servizi e linguaggi, rivedendo anche il proprio modello di business (da Gdoweek n. 4

Era poco prima di ieri, l’epoca in cui, varcata la soglia di casa, smettevamo di essere costantemente raggiungibili, l’era degli appuntamenti senza messaggi WhatsApp e dell’attesa di una risposta senza l’ansia da “spunta blu”. L’online di fatto ha stravolto, prima ancora del business, la nostra forma mentis, i nostri comportamenti: siamo cambiati, ci siamo adattati ai nuovi strumenti, ma abbiamo anche iniziato a sviluppare nuove esigenze, con impatti su come acquistiamo e ci relazioniamo con i luoghi per la vendita, fisici e online.

Secondo le ultime stime Iri, i supermercati restano il canale di spesa prioritario e l’eCommerce cresce a doppia cifra in tutta Europa (+42% in Italia): Iri stima, anzi, che le vendite online di alimentari e beni per la cura della persona cresceranno del 54% nei prossimi 5 anni. Questo scenario, secondo Iri, sta spingendo in tutto il mondo il retail tradizionale a investire in maggiore convenienza, versatilità e rapidità in una logica multicanale per dare, sul web e negli store, al consumatore quello che vuole, quando vuole e come vuole. Come rileva Sandro Castaldo, professore della Bocconi “Passare da una multicanalità non integrata, la fase in cui si trova oggi la maggioranza dei retailer, a una integrata, è la sfida cui le insegne che guardano devono aspirare”.

Non mancano le sperimentazioni: sia startup italiane come Velasca (vedi box pag. 10) sia ampliamenti di logiche omnichannel personalizzate, come la recente iniziativa di Amazon per start-up e piccoli produttori per PrimeNow: dal 20 febbraio 2019 a Milano, alle piccole aziende Made in Italy dell’agroalimentare di promuovere per 3 settimane le loro eccellenze nella metropoli utilizzando la consegna PrimeNow in un’ora o in finestre a scelta di 2 ore, sette giorni su sette. Un plus per offrire sempre più esclusività agli abbonati PrimeNow.

Il concetto di esclusività a domicilio, esaltato dall’online, è anche alla base del crescente sviluppo di nuove formule di engagement con i clienti da multinazionali del food come Nestlè e Unilever, come le vendite su abbonamento per merceologie standard (ndr: pag. 44-45). Una soluzione programmata in Italia alla base del successo di Cortilia.

Per non dire delle partnership la gdo italiana e online specializzati inella consegna della spesa a domilio: molte le esperienze -da Supermercato 24 a Milkman- che hanno coinvolto tutti i formati distributvi e inegne (Coop, Bennet, Carrefour Italia e più di recente con Lidl, a testimonianza di come ormai anche per il discount adeguarsi all’online).

Esperienze che a volte servono come test per decidere soluzioni interne, come ha fatto Iper, La grande i, che, dopo un periodo di test conSupermercato24, ha deciso di gestire in proprio la consegna dell’online con IperDrive@Home, attivo a Milano e qualche Comune limitrofo.

Intanto si aprono nuove sfide. “Stiamo sperimentando servizi ed offerte speciali per capire qual è l’apprezzamento dei clienti e la sostenibilità dei modelli come Auchan Ho Fretta, servizio di consegna rapida in un’ora, in fase di test, che si basa su box contenenti fino a 15 prodotti “, racconta Stefano Ghidoni, direttore cliente e innovazione di Auchan Retail Italia. La box arriva a domicilio o nel luogo preferito con un costo di 7,90 € (3,95 per la promozione di lancio), ma è possibile anche ritirare le box in negozio al costo di 1,90 euro (gratis per il lancio). Per velocizzare l’acquisto in store, c’è Auchan Speedy, l’app che consente di pagare con lo smartphone, mentre per il coinvolgimento dei più piccoli è stata creata AuchanKids, app che sfrutta il potenziale della realtà aumentata.

Collaborazioni e sperimentazioni non riguardano solo il food. Si pensi all’originale store aperto da Lego a Londra con il supporto di Snapchat. Parliamo di un negozio che ribalta il classico percorso d’acquisto, utilizzando un’esperienza fisica innovativa per spingere le vendite eCommerce della nuova linea di abbigliamento Lego. Lo store è infatti vuoto a occhio nudo, ma, se guardato attraverso l’occhio digitale della fotocamera, si trasforma completamente grazie alla realtà aumentata. Non ci sono commessi, casse o capi da provare: solo uno spazio dal sapore magico che racconta sé stesso, per poi invitare all’acquisto online attraverso l’opzione Shop Now di Snapchat.

Sulla stessa scia il pop-up store inaugurato da Nike ad Atlanta lo scorso gennaio. Il negozio, che resterà aperto fino alla fine di marzo, è basato sull’app del brand Snkrs, che dà il nome all’insegna. Gli utenti che la utilizzano e si trovano entro 25 miglia dallo store, ricevono notifiche con offerte speciali, hanno la possibilità di accedere a sneaker in limited edition, ma anche a un distributore automatico di gadget gratuiti instore (come ad esempio le cover per smartphone) che si attiva solo attraverso la app. Un format descritto da Nike come la personificazione fisica dell’app, in grado quindi di integrare geolocalizzazione, tecnologia ed esperienza dal sapore esclusivo.

Un concept ripreso sempre dal noto brand americano anche in Nike Live by Melrose, uno store aperto di recente a Los Angeles, che mutua funzionalità digitali con soluzioni fisiche tipiche di un punto di vendita, tutto all’insegna della velocità (si veda il Pin di Gdoweek a pag. 5).

Zero personale e zero vincoli di orario per quanto riguarda invece il negozio dall’appeal futurista Lab101 aperto dall’omonimo marchio di jeans a Seoul. L’atmosfera è metallica e fredda, come in un laboratorio scientifico, tra capi collegati a flebo di colore blu e modelli in denim sigillati e impilati in celle. Il layout è altamente distintivo e la possibilità di fare shopping in autonomia 24 ore su 24 è abilitata con carta di credito verificata attraverso un apposito chiosco. Ma il negozio può anche essere utilizzato come punto di ritiro degli ordini effettuati online. Un format che di fatto segue lo stile lanciato da Amazon Go, trovando tuttavia nuova espressione nel mondo della moda.

Un altro modello di vendita sperimentato dal fashion che merita di essere citato è quello che trasforma gli amanti di un marchio in piccoli imprenditori con propri negozi digitali. Diesel, ad esempio, ha invitato i propri follower, attraverso la piattaforma eCommerce Side:Biz, ad aprire il proprio store Diesel virtuale. Una volta iscritti, infatti, gli utenti ricevono un link eCommerce da condividere, postare, ed inviare a chiunque tramite sms o email. Ogni volta che una terza persona acquista attraverso un uno di questi link (unici), il possessore del relativo “store virtuale” si aggiudicherà una ricompensa, che varia da sconti a prodotti omaggio. Una formula che sposa marketing e shopping online, sfruttando il passaparola tra pari e i meccanismi di rewarding, abbattendo per il brand relativi rischi e costi.

La strategia di base sembra riassumersi in un solo mantra: investire in più soluzioni, testarle e reinvestire in quelle meglio performanti e apprezzate dai clienti (prima ancora che in quelle sostenibili). Il modello? La “visione economica” dei grandi player del digitale, sempre più interessanti al fisico, come dimostrano le attività e le acquisizioni tanto di Alibaba (che sperimenta con Tmall nuove formule con il mondo del lusso, mentre Hema, la sua catena di supermercati si adegua all’online per consegne e pagamenti) quanto di Amazon che per il 2019 ha annunciato nuovi investimenti.

Del resto, come ha rilevato durante l’ultimo Ces di Las Vegas Joe Jensen, vicepresidente e general manager della divisione retail solutions di Intel, i player online entrati nel retail fisico sono avvantaggiati nel portare la digitalizzazione in store e nel creare negozi più performanti perché operano con un modello di profit&loss diverso, che consente loro di investire di più in tecnologia senza la “pressione da risultati trimestrali”.

“I retailer fisici hanno l’opportunità di riguadagnare terreno, ma solo con un maggiore uso di dati, analytics e una visione sistemica. Perché, ad esempio, quando una donna entra in un convenience store dovrebbe vedere la pubblicità di un energy drink, se i dati ci dicono che sono di fatto solo gli uomini ad acquistarli?”, ribadisce Jensen. Magari quella stessa donna che è mamma e lavoratrice, alla quale non interessa pagare per ricevere la spesa in un’ora, ma che apprezza maggiormente la possibilità di passare a ritirarla in auto di ritorno dall’ufficio, oppure di ricevere senza fretta, una volta a settimana, le referenze più pesanti e commodity a domicilio. In alcuni casi, per i consumatori prevale l’esigenza della velocità, in altri il quid di servizio, in altri ancora la piacevolezza dell’esperienza che porta a visitare un negozio anche senza specifiche intenzioni d’acquisto.

Da qui la necessaria pluralità di forme di vendita dove il fattore tecnologico deve essere sapientemente alternato al fattore umano.

 

Carrefour con facebook aumenta il sellout

di Francesco Oldani

Carrefour si avvale della collaborazione di Facebook per diversi obiettivi, tutti all’insegna della misurabilità delle performance. Gdoweek ha incontrato Valerio Perego, resp. farma, largo consumo e distribuzione di Facebook.

Qual è il key factor delle campagne che Facebook realizza per Carrefour?

Con Carrefour lavoriamo da diverso tempo, grazie anche al loro elevato grado di innovazione interna, che permette di affrontare progettualità come l’ultima sviluppata. Sicuramente la misurabilità delle performance è un fattore chiave dei progetti digitali. Oggi a livello mondiale ci sono oltre 7 milioni di aziende che investono su Facebook. Per il retail è una vetrina importante che può veicolare traffico verso il negozio fisico attraverso azioni promozionali. I prodotti presenti a vario titolo su Facebook sono circa 2,5 miliardi, a testimonianza della valenza della piattaforma.

Come Facebook produce questo impatto?

Sono due i dati che hanno determinato una presa di consapevolezza da parte del mondo retail verso Facebook. Il primo è che il 41% degli utenti afferma che Facebook ha un ruolo rilevante nelle decisioni di acquisto (fonte Deloitte). Un secondo aspetto è che il 30% degli utenti dichiara di aver scoperto un nuovo prodotto grazie a Facebook. Tutto questo si aggancia in modo rilevante con il lancio e promozione dei prodotti.

Rispetto a Carrefour quali azioni avete messo in atto?

Carrefour voleva capire come spingere le vendite di prodotti alimentari in modo più efficace. Nell’ultima campagna, relativa a un concorso che permetteva ai clienti di vincere i prodotti acquistati online, abbiamo lavorato su tre versanti. Il primo è stato incrementare il bacino di nuovi clienti. Il secondo aspetto, la capacità di costruire un carrello che avesse un valore medio più alto. Il terzo aspetto è la misurabilità dei ritorni dell’investimento. Gli obiettivi sono stati conseguiti con due formati pubblicitari innovativi che sono il Carousel che, nello schermo dello smartphone, offre un’interattività interessante. Il secondo sono le Collection Ads che prevedono una presentazione più ricca dei prodotti, con la possibilità di arrivare all’acquisto.

Misurando le performance?

Abbiamo messo a punto diverse metriche che riescono anche a misurare l’efficacia della creatività. I risultati sono molto interessanti, in particolare abbiamo riscontrato un 12x di ritorno sull’investimento pubblicitario per quanto riguarda l’efficacia delle Collection Ads, e 8x per quanto riguarda il Carousel. Un altro dato interessate è sicuramente il tasso di conversione tra le persone che hanno cliccato sul prodotto e quelle che hanno comprato: ben il 26%. Abbiamo infine un feedback relativo agli acquisti aggiuntivi determinati dalle Collection Ads, che si attesta al 40% in più.

 

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