Il mercato sempre più globale è di conseguenza anche sempre più complesso, caratterizzato da una variabilità sempre più rapida che non si può affrontare se non attrezzandosi con le opportune tecnologie. Come trovare il giusto equilibrio tra domanda e supply chain? Parliamo delle sfide del demand planning con Antonio D’Agata, partner e director strategic accounts di Axiante.
Cosa è successo al demand planning, post pandemia?
Gli eventi che si sono succeduti non hanno fatto che accentuare una tendenza già in atto nel mercato, quella di un quadro a elevata variabilità. Nel futuro ci aspettiamo che si verifichino sempre più situazioni che possiamo definire impreviste rendendo il mercato sempre più complesso e quindi difficile pianificare la domanda, gestire il magazzino e le consegne.
Cosa comporta un demand planning inefficace?
Principalmente un impatto sui costi, quindi sui margini. Certamente non ottimizzare le scorte, in primo luogo non tenere sotto controllo stock e overstock, può portare enormi svantaggi in termini di conto economico. Ma un ulteriore importante aspetto, e spesso sottovalutato, è l'impatto della pianificazione della domanda sulla fidelizzazione del cliente. Per esempio, se viene lanciata una promozione e il cliente non trova il prodotto che vuole comprare in negozio perché è andato subito esaurito, si genera una perdita di credibilità. Il retailer non chiude la vendita, ma soprattutto il cliente penserà di essere stato in qualche modo imbrogliato con una iniziativa civetta.
E passando dai retailer all'industria?
Il demand planning è centrale anche per le aziende, in particolare per quelle che lavorano con la strategia make to stock, ovvero producono prima di ricevere l'ordine e tengono il prodotto a magazzino. Anche questo ha contribuito a innescare in questi anni un salto di qualità del demand planner manager: prima questi compiti erano in carico al supply chain manager, oggi la funzione è stata scorporata e ha un'identità propria.
Quali caratteristiche di base deve avere una pianificazione efficace?
Prima di tutto, prevedere una gestione profonda dei dati, che sono sempre di più, sempre più eterogenei e raccolte da fonti a loro volta molto diverse fra loro e in continua evoluzione. La pianificazione della domanda deve partire dall'analisi dei dati storici sulle vendite, dai dati del mercato, dai trend stagionali, e anche dai dati esterni all'azienda come il clima, possibili eventi d'impatto, e così via. Tutto questo costituisce la baseline dalla quale si inizia a pianificare le vendite.
Un altro elemento che ottimizza la pianificazione è la raccolta in classi dei prodotti. Per esempio, accorpando le referenze o i segmenti che hanno le medesime caratteristiche per ridurre l'effort necessario alla pianificazione, o invece isolando alcuni perché richiedono una pianificazione dettagliata. Ovviamente per farlo un'azienda deve avere la possibilità di scegliere tra diversi modelli analitici: econometrici per esempio, in altri casi modelli custom creati ad hoc in base alle caratteristiche del business.
Quali altri aspetti occorre curare per migliorare il processo del demand planning?
Ne aggiungo altri due. Primo, la considerazione che oggi il demand planning, proprio in virtù della complessità del mercato, non può essere un'attività a sé stante, ma deve invece essere integrata con tutte le altre funzioni aziendali: trade marketing, marketing, vendite, logistica. Occorre quindi assicurarsi che le informazioni vengano condivise all'interno dell'azienda. Secondo elemento: per rispondere alla complessità, che si manifesta come un succedersi rapido di situazioni "impreviste", la review della pianificazione deve essere continua, anche settimanale. Farla ogni sei mesi non basta più. Dunque bisogna dotarsi di un sistema informatico che sia in grado di supportare l’organizzazione a fare anche questo.
Dotarsi delle tecnologie adeguate è alla portata di tutti, anche delle Pmi?
Questo tipo di tecnologia è meno complessa e costosa di quanto le Pmi sono spesso portate a credere. Detto ciò, nel fare questo passo per migliorare un processo oggi strategico per qualsiasi realtà, le aziende dovrebbero dotarsi di una soluzione che abbia almeno 4 caratteristiche:
-la capacità di gestire un'enorme quantità di dati, quelli della baseline del demand planning;
-la capacità del sistema di apprendere e migliorare ogni ciclo successivo grazie al machine learning;
-la possibilità di avere review della pianificazione in modalità automatizzata e continua per non pesare in termini di tempo sul lavoro del demand planner, permettendogli di concentrarsi sulla pianificazione in senso stretto e non di rispondere agli imprevisti.
-prevedere anche il cosiddetto demand sensing, ovvero la possibilità di aggiungere alle informazioni per la pianificazione una serie di ulteriori informazioni in real time. Per esempio, quelle che arrivano dai social, i dati meteo, quelli dei dispositivi point of sales. In questo modo la pianificazione si arricchisce ulteriormente di input che rendono più mirati gli insight.
Quali i vantaggi di una corretta pianificazione della domanda?
Il primo è la pianificazione delle scorte, che se ben fatta permette di gestire anche gli imprevisti. Per la gdo significa migliorare la shelf life, ridurre l'overstocking e l'obsolescenza dei prodotti con benefici sul conto economico. Per l'industria si riflette su una maggior efficienza produttiva perché aiuta a pianificare la produzione e dunque i tempi di spegnimento (e non spegnimento) delle catene di produzione.
Per tutti i settori, migliora la gestione dei picchi di lavoro e quindi la pianificazione delle risorse. Vuol dire turni meno pesanti, capacità di reazione migliore ai flussi massimi di vendita, miglior gestione del rischio e maggiore commitment dei dipendenti. Questi benefici sono peraltro immediati.
Come immagina il futuro del demand planning in azienda? Dove stiamo andando?
La tendenza generale è quella a dotarsi sempre più di soluzioni tecnologiche evolute capaci di gestire la complessità per supportare processi decisioni data driven non più gestibili con file a excel. I temi del futuro sono quelli del data integration, del digital twin e della AI, oltre che del software as a service. L'integrazione dei dati sarà cruciale perché si moltiplicano i dispositivi in grado di estrarre informazioni. Un esempio: avremo sempre più scaffali digitali e il controllo della disponibilità dei prodotti sarà automatico. Aggiungo che i gemelli digitali saranno sempre più usati perché permettono di fare test per ottimizzare i processi. Ciò grazie alla potenza computazionale che li sostiene e l'intelligenza artificiale aiuterà a migliorare anche l’efficienza e la sicurezza lanciando alert. Crediamo infine che aumenteranno gli investimenti le soluzioni SaaS, perché riducono i costi delle aziende e hanno tempi di implementazione più bassi.
E l'uomo che ruolo conserva?
L'uomo rimane fondamentale perché è colui che definisce il risultato finale, quello voluto e ottimale. E finalmente potrà fare ciò per cui è pagato, cioè non gestire le emergenze ma fare un'attività qualitativa di pianificazione.
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