Reso gratuito o a pagamento? Il dilemma dei retailer non food

Dopo H&M e Zara, altri operatori del retail potrebbero imporre il pagamento di una somma di denaro per il resto. Una strategia per difendere i margini, limitare l’impatto ambientale e contrastare le truffe

La fine dei resi gratuiti sembra sempre più vicina. Negli ultimi mesi, colossi del retail come H&M e Zara hanno annunciato la conversione a pagamento del servizio (con un costo rispettivamente di 2,99 e di 4,95 euro) e altri potrebbero seguire a breve. Conseguenza soprattutto della pressione sui margini che caratterizza il settore in una stagione di elevata inflazione abbinata al rallentamento del ciclo economico. Senza trascurare l’impatto ambientale di ogni viaggio da e per i magazzini.

C’è poi anche un altro aspetto. A livello internazionale sono state pubblicate diverse ricerche sul cosiddetto wardrobing, una pratica di reso fraudolenta perché consiste nell'acquistare un bene, utilizzarlo per un tempo limitato e poi restituirlo. In questo senso, la politica del reso gratuito risulta un incentivo per i truffatori.

Lo studio

Secondo un sondaggio realizzato su 9mila consumatori dalla piattaforma internazionale di spedizioni e-commerce Sendcloud, il 28% degli acquirenti online è disposto a pagare personalmente per i propri resi.

Si tratta di punto di svolta, considerando l’enorme portata del fenomeno: ben l'82% dei consumatori italiani dichiara di restituire regolarmente un acquisto se non ne è soddisfatto.

Proseguendo nella lettura della ricerca, emerge che il 93% dei consumatori controlli le condizioni di reso prima di ordinare e il 75% dichiara di abbandonare l’ordine nel carrello online se mancano informazioni chiare su questo punto.

Cambia la percezione

Mentre l'anno scorso circa 85% ha dichiarato che ordinerebbe più spesso se i resi fossero gratuiti, quest'anno la percentuale scende al 65%, nella consapevolezza che i resi gratuiti non sono sostenibili nel lungo periodo, soprattutto dal punto di vista ambientale. Quanto, invece, i consumatori siano disposti a pagare per i resi dipende dal valore dell'ordine: mentre per un acquisto online di 15 euro, i consumatori pagherebbero circa 2,20 euro di reso, per uno da 150 arriverebbero a 4,20 euro.

Vince la semplicità

Il 57% dei consumatori italiani ritiene i resi una seccatura e considera quindi importante che i rivenditori comunichino chiaramente le condizioni di restituzione in anticipo. Secondo la survey di Sendcloud, la politica di reso indicata ai clienti dovrebbe mostrare almeno il costo (per il 60% del campione), consentire il reso direttamente online (51%) e permettere agli utenti di ricevere un'etichetta di reso già pronta (47%).

"I rivenditori considerano spesso il processo di reso come un incubo e da anni sono alle prese con l'aumento dei costi di questa pratica. Dopo l'annuncio di Zara di iniziare ad addebitare i resi ai consumatori, la fine dell'era gratuita sembra vicina", afferma Rob van den Heuvel, ceo e co-fondatore della piattaforma.

 

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