Cosa è successo ai negozi Starbucks e cosa può trarne il retail

Courtesy of Starbucks
Il calo di clientela, in primis in Nord America, è frutto della perdita d'identità della catena. Il nuovo ceo Brian Niccol intende tornare alle origini

Pare che molti rimpiangano gli anni Novanta, quando da Starbucks si incoraggiavano i clienti "a rannicchiarsi su una comoda sedia o a chiacchierare con gli amici sorseggiando un caffelatte", scrive Julie Creswell sul New York Times. Negli ultimi anni la catena di caffeterie-negozi è invece diventata sempre più simile a un fast food per tipo di esperienza offerta, senza però garantirne -come ulteriore aggravante- lo stesso livello di efficienza e rapidità. Un progressivo discostamento dalla propria identità originaria, e da un senso di autenticità e socialità, causato da un mix di fattori (approfonditi a seguire). Questo ha portato a un generale calo di traffico 2024 negli store e a risultati deludenti. Solo per citare i numeri più recenti: a parità di rete le vendite sono diminuite del 7% nel quarto trimestre conclusosi a settembre 2024, con un discesa del 6% in Nord America (dove si trovano il 43% dei negozi, che danno circa tre quarti del fatturato) e del 14% in Cina. Dati che, una volta resi noti, hanno portato a un significativo calo delle azioni.

In apposito video (sotto) il nuovo ceo della catena, Brian Niccol (ex Chipotle), ha confermato che serve un cambio definitivo di strategia per tornare a crescere, un vero e proprio "Back to Starbucks", nel senso di ritorno ad essere fedeli al proprio core business (secondo il prof. Calkins della Kellogg School of Management, la stessa cosa dovrebbe farla Nike, ugualmente in perdita sul fronte identitario). Un mantra che ricorda molto quel "back to basics" di cui si parla spesso nel mondo gdo e retail, settore al quale la parabola dell'insegna offre importanti promemoria.

Com'è passata una catena internazionale così spesso citata come caso di business e marketing positivo a decalogo del "cosa non fare" in un punto di vendita? Gli errori "to watch" di Starbucks sono stati diversi:

  1. Dalla disattenzione agli aspetti sociali e "caldi" dell'esperienza al sovraccarico dei lavoratori per le mansioni "fredde" e non necessari.

    Nel mondo post-pandemia, Starbucks (come altri) ha concentrato molta attenzione sugli ordini drive-through e da asporto. I posti a sedere sono stati ridotti o addirittura eliminati. Tutta quell'atmosfera calda da "bolla per artisti", lavoratori che siedono in un angolino con il loro pc mentre magari scrivono un bestseller, e così via, è venuta meno. Il tutto mentre menù sempre più ampi e preparazioni sempre più complesse (parliamo di "caffè" con 9 ingredienti), venivano addossate a un personale di vendita costretto a ridurre sorrisi e scambi di battute con il cliente per stare nei tempi di servizio. Tempi di attesa che comunque si sono allungati, creando grandi code, anche a causa della scelta di eliminare le stazioni per le guarnizioni fai-da-te, che saranno infatti ripristinate. Anche la semplificazione del menù e la trasformazione del layout dei negozi, in ottica di rendere la permanenza più confortevole, fanno parte delle strategie future annunciate da Niccol.

  2. Tecnologia malfunzionante che crea solo frustrazione (e ulteriore inefficienza).

    Starbucks ha registrato diversi problemi di discrepanze tra l'inventario e la disponibilità dei prodotti mostrata sull’app e quella effettiva nei negozi, a ulteriore danno dell'esperienza complessiva. Tutto questo mentre il personale di vendita era troppo sotto pressione per sistemare eventuali errori o mitigarne gli effetti, anche semplicemente puntando sulla costruzione del rapporto con la clientela. Tra i vari interventi previsti, infatti, il ceo Niccol intende migliorare il sistema mobile per fare in modo che gli ordini non travolgano i bar e i tempi di attesa si riducano.

  3. Un'architettura dei prezzi inadatta al contesto attuale (e all'abbassamento dei livelli di esperienza).

    Un caffelatte da 8 dollari, in tempi di inflazione, già non è semplicissimo da vendere. Se a questo si aggiunge il deterioramento dell'esperienza sul fronte umano e dell'efficienza, l'ostacolo si fa ancora più alto e il passaggio alla concorrenza (più fitta di un tempo) è facilitato. La revisione dell'architettura prezzi è appunto un altro dei temi in agenda annunciati da Niccol, ma non tanto a ribasso o puntando su eventi promozionali importanti, come fatto di più in passato. Parrebbe piuttosto che si punti a un "non a rialzo per il 2025", una sorta di congelamento momentaneo per avere il tempo di ripristinare una sensazione di "premiumness" che faccia valere la spesa. Allo scopo Niccol ha già inserito nel team una responsabile globale del brand, Tressie Lieberman, che aveva già lavorato con lui come vicepresidente del marketing digitale in Chipotle.

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