Su un punto sono tutti d’accordo: il rilancio dei consumi passa inevitabilmente (anche) per nuove forme di collaborazione tra l’industria di marca e il mondo della grande distribuzione organizzata. Perché gli schemi classici e anche quelli introdotti in tempi più recenti, dal focus esclusivo sul prezzo alle logiche di category, non sembrano bastare più. Le difficoltà nascono, però, quando si provano a immaginare i filoni di sviluppo perché su questo terreno torna a fare capolino una diffusa percezione di contrapposizione tra gli interessi delle parti che lascia poco spazio all’innovazione.
Nei primi 100 giorni del 2018 le vendite della gdo hanno registrato un calo intorno al punto percentuale rispetto allo stesso periodo del 2017, ma due fattori lasciano immaginare un peggioramento quando saranno disponibili cifre più aggiornate: la Pasqua anticipata (nel 2017 era caduta il 16 aprile) e il peggioramento dei risultati con il trascorrere delle settimane. Un trend che arriva dopo il modesto incremento (+0,2%) rilevato da Federdistribuzione delle vendite nazionali, anche se la gdo (+1,4%) è andata sensibilmente meglio dei piccoli negozi (-0,8%). E il risultato sarebbe stato anche peggiore senza una leggera ripresa dei prezzi che ha compensato la debolezza dei volumi.
Considerato che è illusorio attendersi una crescita robusta dal 2018 (anzi, il primo trimestre dovrebbe essersi chiuso con il Pil in aumento dello 0,2% su base congiunturale, quindi un decimo in meno rispetto al precedente trimestre) non resta che capire come sta evolvendo l’atteggiamento degli attori sul fronte della domanda. “Volendo fare un confronto con il passato a breve e medio termine, il bilancio è immutato. Vi sono alcuni operatori dell’industria di marca che mostrano maggiore propensione al dialogo con la gdo e altri meno”, è il bilancio generale tracciato da Francesco Avanzini, direttore commerciale di Conad. Il principale parametro da considerare, ricorda il manager, è l’inflazione, che a marzo ha sì registrato un’accelerazione rispetto a febbraio, ma, con un +0,9% rispetto a un anno fa, resta comunque caratterizzata da un incremento molto contenuto. Soprattutto se si aggiunge che il passo in avanti rispetto al +0,5% registrato nel mese precedente è dovuto in buona parte alle componenti più volatili, come alimentari e tabacchi.
“Un altro parametro da considerare con grande attenzione è il tasso d’innovazione: sui segmenti relativamente nuovi e moderni, pensiamo al bio, c’è qualche spazio per agire sulla leva del prezzo, altrimenti l’aumento dei listini rischia di risultare completamente al di fuori delle logiche di mercato” aggiunge Avanzini. Secondo il quale è necessario un “colloquio su base continuativa con l’industria nella consapevolezza che il mercato è ormai fortemente parcellizzato non solo per numero di operatori attivi, ma anche a livello geografico e di clientela. Occorre trovare insieme, di volta in volta, la soluzione più adatta alla singola situazione”.
Avanzini cita come esempio quello che ha fatto Conad: “Abbiamo scelto alcuni campi nei quali vogliamo essere più forti e riconoscibili, e chiediamo alle industrie di fare lo stesso”.
È un appello che finora ha funzionato? “Raramente -risponde Avanzini-. Nella maggior parte dei casi il focus resta sul conto economico, così come resta la convinzione che il profilo del brand vada bene per tutti”. Avanzini fa l’esempio dei cappellini americani con misura unica che si adattano a tutte le teste. “Non funziona più così nel mondo della distribuzione -sottolinea-. I consumatori chiedono politiche commerciali e promozioni differenziate anche a livello di punto di vendita. Quindi non basta decidere di puntare per esempio sui prodotti green, ma occorrono diverse intensità di spinta per ciascuno di essi. Anche nel corso di un’unica giornata -ricorda- il consumatore frequenta più negozi e insegne e da ciascuno si attende sensibilità differenti. Se questa è l’evoluzione della domanda, il fornitore non può rispondere con un piano di marketing unico”.
Da dove ripartire allora? Fabio Sordi, direttore commerciale di Selex, invita a non dimenticare che qualsiasi negoziazione si basa, in ultima analisi, sul prezzo netto d’acquisto e sulla valutazione del suo - potenziale prima e reale dopo - prezzo di vendita. “Anche se ad alcuni può apparire banale ricordarlo, questo è il nostro mestiere -sottolinea-. È all’apparenza facile, tant’è che siamo in tantissimi a farlo. Cosa diversa è farlo bene, tutti i giorni, negli anni”. Esistono diversi approcci (a volte complementari, altre volte alternativi) su come acquistare e come vendere. Sul primo fronte si può fare riferimento ai costi industriali o al valore della marca. Anche nelle impostazioni commerciali ci sono due modelli di base: vendere al meglio ciò che si è deciso di acquistare o comprare al meglio ciò che si è deciso di vendere. “Ovviamente non esiste un sistema giusto e uno sbagliato in assoluto -spiega Sordi- perché nel mercato vediamo esempi di successo e di insuccesso con tutti questi metodi, diversamente incrociati tra di loro. Quello che è certo è che dimenticarsi di negoziare e di tenere sotto controllo il prezzo netto d’acquisto è un errore, come è un errore concentrarsi solo su di esso dimenticandosi tutto il resto”.
Data per scontata una certa muscolarità della relazione tra gdo e industria di marca, quali sono le aree per lavorare in partnership?
“Il punto di partenza per collaborare è partire dal presupposto che gli interessi tra le due parti a volte sono convergenti, ma altre non possono che essere divergenti” chiosa Sordi. Un esempio su tutti: le promozioni. “L’interesse del fornitore è di vendere il più possibile, quello del distributore di attrarre più clienti nei suoi punti di vendita -precisa il direttore commerciale di Selex-. Solo partendo dal reciproco riconoscimento di questi presupposti, si potranno trovare soluzioni compatibili per entrambi”. Il secondo punto è la disponibilità a dare al distributore un’offerta personalizzata in termini di prodotti, promozioni ad hoc e così via. “Sempre di più il mercato dà ragione a chi è in grado di adattare e personalizzare la propria offerta alle specifiche esigenze dei propri clienti” sottolinea Sordi, che invita a non trascurare mai l’importanza della sostenibilità economica. “Non ci può essere partnership con un fornitore che non mi fa guadagnare; troppi prodotti dell’industria di marca non coprono neanche i costi di distribuzione o hanno a volte margini negativi”.
Per concludere, segnala la necessità di puntare su un rapporto agile e dinamico che consenta di seguire i cambiamenti dei consumi dei clienti. In concreto come? “Se un fornitore pretende il ‘mantenimento assortimento anno precedente’, non fa l’interesse di nessuno, né del cliente, né del distributore, né, in ultima analisi, il suo”, conclude il manager di Selex. Un messaggio molto chiaro.
Non nasconde le difficoltà del momento, ma al contempo individua alcuni filoni di possibile collaborazione Alessandro Masetti, responsabile settore alimentari e liquidi di Coop Italia. “Ci sono diversi fattori che rendono inevitabile una contrapposizione muscolare tra la gdo e l’industria di marca, dall’andamento complessivo delle vendite, che continua ad essere insoddisfacente nella parte iniziale di questo 2018, alla leva promozionale classica, che non genera più vendite aggiuntive, ma si è trasformata in una azione di difesa dei fatturati dell’anno precedente e continua ad erodere vendite. Anche le nuove aperture non generano più crescite di fatturato. A tutto ciò si aggiunge il fatto che il consumatore si è evoluto nelle dinamiche di spesa e sta approcciando come soluzione di acquisto molti più canali di quanti non ne prendesse in considerazione in passato, dal commercio online al canale discount, tutti canali concorrenti”. Se tutto ciò rende inevitabile una maggiore contrapposizione, è altrettanto vero che continuano comunque ad esserci ancora mercati che crescono a due cifre.
“È il caso del biologico che sta vivendo un quinquennio di forte espansione e su alcuni mercati agricoli si candida a diventare il mainstream del futuro”, spiega Masetti. Lo stesso vale per i prodotti ad alto contenuto di servizio o di quelli che richiamano la tradizione, l’artigianalità e la tipicità, oltre al filone benessere e salute. “Molto spesso gli artefici di questi successi non sono state le grandi aziende di marca, ma realtà imprenditoriali medie o piccole che hanno interpretato i bisogni del consumatore vedendo in lui non solo un soggetto economico. È chiaro che per un distributore cavalcare questi trend diventa di vitale importanza e proprio quelle aziende che, nel tempo, hanno saputo leggere o addirittura anticipare questi trend saranno quelle con le quali sarà più facile la negoziazione”. Masetti sottolinea che la diversità di formato può generare un’area di confronto interessante tra industria e distribuzione sul fattore dell’efficienza e quindi sul recupero dei costi di filiera rendendo utile un confronto.
“A parità di prodotto, infatti, l’industria di marca può dare soluzioni logistiche e di allestimento personalizzate a seconda del modello distributivo e questo può portare a una collaborazione di medio periodo, che può spostare l’asse da una relazione puramente muscolare ad una di maggiore collaborazione volta al contenimento dei costi”.
Il vantaggio per il trade è evidente, mentre per la marca “può portare a soluzione taylorizzate e quindi durature a fronte di un delta costo iniziale spesso non così elevato, se paragonato all’investimento per il miglioramento della relazione con il distributore” aggiunge.
La personalizzazione, spiega il manager di Coop, dovrebbe riguardare anche le soluzioni promozionali che da sole spesso sono esse stesse la causa principale di perdita di margine. “Serve trovare soluzioni personalizzate che siano davvero distintive e che partano da una conoscenza profonda delle esigenze del consumatore e di che cosa sia davvero importante per lui in quel momento, se creare traffico, transazione o se puntare su un posizionamento valoriale”. La società, ricorda Masetti, va verso una maggiore individualizzazione dei bisogni e le soluzioni pensate uguali per tutti, “pur a fronte di un risparmio immediato sulla scala dei costi, difficilmente saranno la strada giusta per il futuro”.
D.It punta su forme di collaborazione che vanno al di là dell’ambito commerciale. “Puntiamo sul coinvolgimento dell’idm nei nostri programmi di loyalty ad alto valore aggiunto, sistemi premianti sempre più qualitativi e differenzianti, supportati da prodotti/brand di alta gamma e sempre più spesso accompagnati da testimonial di forte richiamo per i clienti”, racconta Alessandro Camattari, direttore commerciale e marketing di D.It Distribuzione Italiana. “A ciò si aggiungono iniziative focalizzate sulle nuove tendenze e i nuovi stili di consumo, come l’utilizzo del magazine aziendale, attraverso il quale veicoliamo ai clienti attività di co-marketing strutturate come redazionali e con l’appeal del fai da te” spiega. Un esempio in tal senso è costituito dalle rubriche periodiche dedicate al mondo del beverage, dove nel contesto di un redazionale -Il cocktail del mese- viene promosso l’utilizzo migliore di uno specifico brand/prodotto dell’industria di marca. Il canale online è un altro filone di sviluppo di partnership con i produttori. “Il nostro nuovo sito, per esempio, è strutturato come un portale di informazioni specifiche e tracciabili che incrociano informazioni di negozio e utente”. Questo significa consentire la lettura delle modalità di navigazione dell’utente stesso, individuarne gli interessi e mettere a disposizione del partner idm tutta una serie di informazioni per attività commerciali e/o di adv con contenuti mirati per segmenti specifici di interesse a seconda che l’obiettivo del partner industriale sia di engagement piuttosto che di fidelizzazione”. La app diventa un’ulteriore estensione della relazione, consentendo, con le stesse modalità del portale, il contatto con l’utente in qualsiasi luogo. “Il prossimo passo da implementare sarà l’associazione delle carte fedeltà a portale ed app per avere un profilo completo sia di navigazione sia di acquisto -aggiunge Camattari-. Con queste nuove implementazioni, stiamo allargando la relazione con l’idm anche a tutte quelle funzioni che solitamente dialogano con minor continuità con la distribuzione, prime fra tutti marketing e digital, con l’obiettivo di creare attività di valore per i nostri clienti”.
Anche Massimo Krogh, direttore acquisti di Crai, sottolinea che una certa muscolarità nei rapporti è inevitabile per diverse ragioni: “La competitività trasversale tra i format, la forte pressione promozionale del mercato, la spinta sul recupero dei volumi, la necessità sia dei retailer sia dell’industria di marca di conquistare quote di mercato, l’aggressività dei prezzi sui volantini e l’inflazione all’acquisto hanno eroso la marginalità con la conseguenza che in certi casi si arriva a stressare la negoziazione”.
Alla luce di queste considerazioni, per Krogh la vera sfida è coinvolgere tutti gli attori della filiera. Come? “Occorre condividere le logiche di category management individuando le referenze prioritarie -risponde Krogh-, mettendo in relazione i trend di consumo, le esigenze dei clienti, gli spazi espositivi, il posizionamento dei diversi format e soprattutto il ruolo che il retailer intende dare alle differenti categorie. Bisogna pensare ad attività a volantino che non rispondano più a un concetto di presidio di una certa numerica, ma che siano soprattutto qualitative e valoriali, costruite su prodotti interessanti e attrattivi per il consumatore”. Questo non basta, ma, come aggiunge Krogh, “Si devono pensare e costruire insieme azioni e iniziative promozionali mirate e personalizzate anche attraverso il Crm, fonte preziosa per conoscere e studiare il comportamento di acquisto dei clienti attraverso parametri oggettivi e misurabili”.
Dopo le ricette applicate e quelle auspicate dai big della gdo, è interessante sentire il parere dell’industria. A parlare su questo versante non sono in molti, segno di una certa disillusione nel cercare terreni di collaborazione. “La verità è che oggi funzionano le promozioni, quello che viene veicolato tramite volantini. Su tutto il resto si fatica tanto e non vedo grandi spazi di partnership con il mondo della gdo” taglia corto Salvatore La Bella, direttore commerciale di Preziosi Food.
Anche Massimo Monti, amministratore delegato di Alce Nero, si mostra prudente su questo fronte. “La lunga stagione della crisi ha impattato pesantemente sulle vendite, per cui la coperta è corta e ognuno la tira verso di sé”. Almeno in teoria, sottolinea Monti, gdo e industria di marca non dovrebbero essere in concorrenza tra loro, ma la verità è un’altra: “Siamo in presenza di una competizione serrata in cui ciascuno cerca di preservare un po’ di marginalità e non si riesce a guardare al lungo periodo”. Questa la fotografia dell’esistente, ma è inevitabile una svolta: “Se vogliamo puntare tutti a una crescita sostenibile, occorre un’equa divisione degli interessi, che coinvolga anche il consumatore”, sottolinea l’Ad di Alce Nero. Un auspicio che vale per tutte le parti in causa.
Francesco Andriani, cmo di Andriani Spa, riconosce che lavorare per logiche di category non è più sufficiente perché non contribuisce a incrementare i consumi che tendono sempre più a migrare verso altri canali, come l’acquisto online. Inoltre, le incertezze legate alle instabilità politiche e sociali possono portare, come (estrema) conseguenza, alla rinuncia all’acquisto. Il retail contemporaneo, definito moderno perché supera il punto di vendita tradizionale, deve riorganizzarsi velocemente in quanto non più idoneo al mercato.
“I fornitori più moderni e dinamici dei punti di vendita devono utilizzare le proprie capacità e risorse per informare, spiegare il corretto utilizzo, valorizzando le peculiarità per rendere l’acquisto accessibile a tutti, in particolare alle nuove generazioni, che sono più dinamiche e tendono a spostarsi più facilmente -spiega Andriani-. Le nuove tecniche di marketing del sistema d’acquisto non lavorano più per logiche di reparto, ma puntano a far vivere momenti di unicità e chiarezza che aiutano il consumatore a sentirsi più motivato e sicuro nel fare il proprio acquisto”. Cosa fa l’azienda su questo fronte? “Per promuovere le nostre linee di prodotto abbiamo adottato una strategia di marketing e comunicazione che prevede un mix di attività, online e offline, volte a diffondere la conoscenza del marchio Felicia e a valorizzare il suo posizionamento nei mercati di riferimento”. In ogni caso, il web resta il canale privilegiato del brand. “L’utilizzo dei canali social ci dà la possibilità di instaurare un dialogo diretto con il consumatore, stimolando la sua curiosità attraverso un piano editoriale ricco di contenuti -spiega Andriani-. Abbiamo inoltre implementato un’attività di comunicazione, media relation e una programmazione adv sulle principali riviste di settore”. Da segnalare, infine, la collaborazione con food blogger e influencer. “Attraverso la creazione di ricette innovative con i prodotti Andriani, si fanno portavoce del mangiar bene, sano e naturale, perfettamente in linea con la filosofia di Felicia”.
Valérie Hoff, direttore marketing de La Linea Verde, ricorda la sfida vinta di posizionare, per la prima volta in Italia, zuppe fresche accanto all’ortofrutta fresca pronta (IV gamma). “Questa collocazione è servita a far passare al cliente finale i plus della allora nuova categoria merceologica che si andava a proporre -racconta Hoff-: prodotti vegetali freschi, pronti (alto contenuto di servizio) e genuini perché fatti con materie prime freschissime, senza conservanti e realizzati con minor impatto tecnologico come fatto in casa. Sempre più si lavora insieme per sviluppare prodotti innovativi che spronino il mercato a crescere, esplorando nuovi orizzonti e intraprendano nuove sfide”.
Valérie Hoff accoglie favorevolmente “gli sforzi che nel mondo della distribuzione si stanno compiendo per valorizzare il comparto ortofrutticolo, da sempre biglietto da visita di super e superstore per la qualità del prodotto fresco e anche perché fisicamente collocato di solito all’ingresso”. Esempi di collaborazione che promettono di trovare applicazione anche altrove. Conclude Valérie Hoff: “La strada intrapresa dai retailer è apprezzabile, anche per la comunicazione che sta diventando sempre più efficace sul punto di vendita”.